Di fronte ad alcune vicende che attraversano la convulsa società contemporanea, mi pare opportuno sottolineare alcuni elementi di comune intuizione; innanzitutto va ricordato che dal rapporto tra persona umana, società ed economia nasce uno dei due processi canonici fondanti del sistema politico nel quale si concentra la relazionalità conflittuale tra i diritti fondamentali della persona umana e la sua dignità e le dinamiche necessarie alla competizione capitalistica del mercato, con il conseguente profitto che, a sua volta, vuole rivendicare la propria centralità. Oggi, sovente, lo sviluppo dell’uomo viene identificato con la completa espansione economica ed anche con un generalizzato benessere che sarebbe la ricaduta automatica dell’incremento del volume della ricchezza e dello sviluppo mondiale:viceversa la situazione odierna ne dimostra l’esatto contrario. La contrapposizione tra liberismo, individualismo, mercato sfrenato e umanesimo, che ha al suoi centro il valore della persona e che valorizza la famiglia come centro del diritto e dell’azione politica, ha sostituito negli ultimi decenni quella tra il marxismo ed il liberismo. Si è giunti ad una totale sottomissione della persona al profitto ed alla considerazione della persona in funzione dell’economia, del profitto che è l’unico indicatore di crescita sociale e, a volte, assiologica. Il bene comune e la centralità della persona sono il centro anche della Costituzione della Repubblica Italiana. E non possono essere annullati da processi di autoespasnsione emotiva del capitalismo, strumentalizzando il perseguimento della massimalizzazione del profitto. Il cristianesimo ha una propria concezione dell’economia, ma come ancella della politica, come questa lo deve essere dell’etica, che certamente non nasce dalla politica. L’impresa dev’essere considerata come una comunità di uomini che, pur perseguendo la soddisfazione dei loro bisogni fondamentali, dev’essere intesa come un gruppo a servizio della società, perché il profitto non è il solo ed esclusivo regolatore della vita economica. La competizione del mercato va animata dalla solidarietà, attraverso un metodo di sviluppo economico che solleciti l’uomo considerare il senso della sua cittadinanza sociale, spingendolo a migliorare il proprio lavoro e rispettando quegli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune, come ricorda Giovanni Paolo II nella “Centesimus Annus”al n°32. In questo consiste la differenza tra il diritto della cittadinanza cristiana e quello liberalcapitalistico, perché pone le dinamiche di mercato in condizione di libertà politicamente vigilata a tutela dei fondamentali diritti dell’uomo e della prima cellula della società naturale che è la famiglia. Se si lascia il sistema economico capitalistico, che non possiede una sua etica autonoma, nel solco del liberismo più sfrenato, si giunge all’affermazione di quegli elementi di forza-violenza concentrando il potere nelle mani dei meno curanti di quei valori della coscienza che costituiscono il centro della predicazione di Cristo.
Già nell’enciclica “Quadragesimo Anno”del 1931, al punto 107, Pio XI condannava l’asservimento dell’uomo al primato del profitto perché ogni sistema che sacrifica i diritti fondamentali delle singole persone all’organizzazione economica è contro la dignità dell’uomo. La persona non può essere ridotta ad impersonale forza-lavoro assoggettata alle esigenze della produzione come merce ma come soggetto, autore e scopo stesso di tutto il processo produttivo. Certamente l’economia di mercato deve rispondere alle proprie regole della competizione, che però devono essere ancorate ad un’etica della solidarietà, attraverso leggi dello stato ordinate al bene comune. In questo senso capiamo come la politica è essenzialmente intelligenza del perché l’uomo vive e non può che vivere in comunità, per cui alla politica è richiesta un attitudine filosofica che legittima la filosofia politica Non si può scambiare la politica col progettuale, col fantastico o col moderno “pensiero aperto”, perché implica un procedimento “geometrico con un punto di partenza convenzionalmente ipotetico, senza preoccuparsi del fondamento della verità, ma solo della funzionalità. Si tratta di un procedimento opposto alla filosofia perché la politica richiede attenzione all’esperienza, alla realtà ed è chiara la distinzione tra costituzionalità “politica”alla De Maistre, e l’ideologia del “costituzionalismo”elaborata secondo il razionalismo moderno. Rinviare all’esperienza per cogliere l’essenza della politica esclude la possibilità di confondere il mero potere con l’autorità che, viceversa, è un elemento morale che, se tale, va sempre esercitata legittimamente perché ordinata al bene oggettivo della persona che non dipende dal consenso e il governo politico non è legittimato, come diceva Locke, dal “consentimento”all’assoggettamento alla potestà politica, ma dalla finalità perseguita dal potere stesso.
Se si considera legittima una sola ed esclusiva forma di governo, allora si arriva ad assegnare valore al consenso non come mezzo ma come fine, arrivando a considerare anche il nichilismo come fondamento dello stato. E’ la contraddizione in termini del naturalismo politico che si rivela incapace di individuare i motivi della politica di cui tutti facciamo e non possiamo non fare esperienza. Aristotele affermava che la democrazia costituiva il filo rosso della storia di Atene, stabilizzatosi dopo la fine dell’ultima fase della tirannia nel 403 a.C., perché il potere va attribuito al popolo in quanto quando è ristretto in poche mani è più frequente la corruzione e la decadenza, mentre la democrazia era anche per Aristotele il regime politico che riconosceva la libertà dei cittadini come il fondamento del vivere civile e dei loro diritti nel governo e non la ricchezza o altro. In questo senso credo utile riflettere sul rapporto di evoluzione del rapporto tra società e democrazia perché la questione fondamentale resta l’espressione ed attuazione storica della persona umana, perché una percentuale enorme ancora agisce ed opera in condizioni subumane e se partiamo dalla definizione di “persona” di S. Tommaso d’Aquino e consideriamo il suo molteplice ed intenso agire interiore ed il suo multiforme, creativo operare esterno, cerchiamo di individuare le costanti operative della persona umana come tale, ne possiamo rilevare alcune: quelle concernenti la conservazione del proprio esister (alimentarsi,mantenersi in salute,abitare,abbigliarsi nel senso più ampio del termine), nonchè quelle culturali, sociali, economiche, politiche e giuridiche. Se consideriamo la convivenza civile da questi punti di vista possiamo disporre di una griglia analitica che consente di rilevare le carenze e le risorse nella prospettiva del processo di sviluppo e perfezionamento comune, ovvero di ciascuno e dell’insieme. Se l’operare esterno personale si svolge secondo tali costanti, esse originano, conseguentemente, la struttura della convivenza civile, le sue componenti strutturali ed implicano ambiti popolari ad esse in qualche modo corrispondenti, quelli che possiamo considerare gli ambiti della “democrazia della partecipazione”. In quanto persona umana ciascuno è dotato di capacità potenziali ad essere autore del proprio agire e del proprio operare ed il realizzarsi di tali capacità è per ciascuno una necessità, un dovere del proprio essere uomo; la democrazia della partecipazione è la realizzazione da parte di ciascuno nell’insieme delle persone, ovvero nella realtà popolare. Mentre la “democrazia del consenso”, o rappresentativa, è finalizzata alla gestione del potere politico nella libertà comune, quella della partecipazione è finalizzata alla gestione dell’autorità personale e la prima è la funzione della seconda ed entrambe sono funzionali al processo di sviluppo e perfezionamento comune o storico di ciascuno e di tutti insieme. Nella coerenza e nell’omogeneità tra essere, agire ed operare, ogni realtà locale esprime il proprio modo di progettare e di realizzare il processo di sviluppo che le è proprio,ma in sintonia con il processo storico,che non è il risultato di questa o quella èlite,ma la risultante della partecipazione popolare, dell’insieme degli uomini operanti per il processo di sviluppo e di perfezionamento. Mentre la comunità riguarda l’essere dell’uomo in quanto partecipazione della comune natura umana, la convivenza civile riguarda l’operare delle persone nel loro insieme, ne è una risultante ed una condizione per cui si può definire “popolo” l’insieme delle persone non più considerate nel loro essere “comunità, ma nel loro operare.
Tutti gli uomini devono essere chiamati a diventare protagonisti dello sviluppo storico alla pienezza , da crearsi quotidianamente con impegno costante realizzando una presenza storica sistematica della democrazia della partecipazione, come canale popolare che consenta a ciascuno di autogestire, in quanto persona umana, l’aspetto pubblico della vita, non solo quello familiare e personale, perché contribuendo ciascuno a costruire lo sviluppo nella comune libertà, si contribuisce a costruire la pace in modo fattivo. La verità è il modo corretto che ogni persona ha di rapportarsi con la realtà attraverso l’intelligenza, mentre l’amore è il modo corretto di ogni persona di rapportarsi con la realtà, mediante la volontà. La vita umana implica una pluralità di azioni ed operazioni nell’universo cosmico, nell’unità familiare, nella convivenza civile e nella comunione ecclesiale necessitando di un “minimo” di interventi e di un “massimo” di orizzonti. Mai come in questi anni l’appartenenza di tutti gli uomini ad una medesima comunità è parsa tanto evidente e la planetarizzazione dei problemi e delle risorse si impone con una forza propria in modo oggettivo. L’asse di riferimento si esprime attraverso lo sviluppo, la libertà e la pace; tutto ciò che risultasse non solo avverso ma anche semplicemente estraneo a tale asse di riferimento, va aiutato a sintonizzarsi con esso sia dal punto di vista sociale che economico, politico e giuridico, che dalle condizioni di base per esistere, da ogni comunità locale fino all’ ONU e viceversa. I mezzi finanziari per tale strategia dello sviluppo, libertà e pace sono reperibili dal contestuale programma di disarmo e mentre fino a qualche decennio or sono tale proposta poteva sembrare chimerica, dopo il crollo del muro di Berlino se ne è avuta prova della fattibilità, perché il 5% annuo per 15 anni consente la riduzione di tali ingenti spese al 25 % per armamenti di polizia internazionale ancora necessari. I progetti vanno costruiti “con” e non “sulle” popolazioni perché la parola “sviluppo”significa il complesso di crescita e di progressi, come globalità di dinamiche e conseguenze; l’elaborazione congiunta dei progetti deve mirare a promuovere la capacità delle singole popolazioni a mirare allo sviluppo,al lavoro e alla giustizia sociale.. Inoltre va tenuto conto della globalità della
vita, delle costanti dell’operare esterno della persona in quanto tale, conservare la propria vita, esprimersi culturalmente, aprire relazioni sociali, produrre ed utilizzare beni materiali e servizi, contribuendo a realizzare più di quanto si consuma, organizzarsi ed organizzare politicamente operando per la democratizzazione degli ordinamenti giuridici. Ma occorre essere consapevoli della duplice dinamica “in exitus” e “in reditus”, sulla linea della convivenza civile perché ciascuno partecipa della comune natura della specie umana appartenendo ad una medesima comunità che, realizzata storicamente, coincide con l’umanità e viene trasmessa col concepimento.
La comunità si determina ulteriormente per elementi secondari che la caratterizzano: dalla comunità universale sino alle diverse etnie e comunità locali che incarnano le caratteristiche peculiari da vedersi non più come causa di conflitti ma come ricchezza di fattori complementari. Ciò che differenzia l’unità reale dell’uomo dalle altre unità del creato è il fatto che egli riceve con il concepimento la missione di interpretare in modo unico e irripetibile tale comune natura umana, mentre la legge della natura personale sussistente assegna ad ogni persona l’altissimo compito di essere interprete degli ordini dinamici di sviluppo, le cosiddette “costanti operative”, guidate dall’intenso e molteplice agire interiore. Ciascuno e tutti insieme dobbiamo operare la convivenza civile nell’integrità delle cause, degli ambiti popolari e delle componenti strutturali affinchè il nostro vivere in questo mondo realizzi il più possibile il vivere propriamente umano.
Giulio Alfano
Professore di Etica e Filosofia politica presso la Pontificia Università Lateranense
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