Dal sito www.giulioalfano.wordpress.com - il
Prof. Giulio Alfano è ordinario di filosofia e etica politica alla Pontificia
Università Lateranense.
Nell’attuale situazione politica e sociale parlare di famiglia significa
toccare inevitabilmente i caratteri fondamentali non solo del nostro
vivere civile, ma ricordare i valori essenziali su cui poggia la nostra realtà
politica e culturale. Va detto, infatti, che la famiglia costituisce il primo
nucleo della società, come anche recita la nostra Costituzione Repubblicana;
infatti essa è l’essenza di quello che in politica si definiscono “corpi
intermedi dello stato” e quindi va anche precisato cosa si intende per “stato”.
Esso oggi viene considerato un momento unitario di consapevolezza giuridica
dell’azione, a conferma che gli stati moderni e democratici non assorbono
l’intera totalità della vita dell’uomo-cittadino, ma ne costituiscono il
momento determinate del vivere civile senza ledere l’intangibilità della vita
privata.
L‘uomo contemporaneo non vive per lo stato, come veniva considerato nelle istituzioni politiche ancora per buona parte del XX° secolo, ma semmai è lo stato a vivere per il cittadino, che ne è il fondamento non solo politico ma gnoseologico. In questo senso quindi è la persona ad essere e a dover essere al centro e a fondamento dello stato stesso, in quanto “luogo dove l’essere si fa parola” ovvero centro della relazionalità sociale e base per qualsiasi progetto culturale. Lo stato quindi non è un assoluto “sine nomine” che precede ed opprime l’uomo in quanto non ha niente fuori, contro o addirittura sopra di sé, ma è il motivo stesso della presenza politica relazionale dell’uomo e questo emerge ancora di più all’indomani del crollo del muro di Berlino, che oltre vent’anni or sono ha sancito non solo la fine del cosiddetto “secolo breve”, ma anche e soprattutto l’esaurimento dello stato-nazione nato con la pace di Westafalia.
Collocare il ruolo della famiglia in questo rinnovato contesto politico vuol dire anche interrogarsi sul ruolo della scuola e con essa dell’educazione nel XXI° secolo; essa è per statuto anche ontologico una “comunità educativa” dove il ruolo della famiglia risulta fondamentale anche in relazione allo sviluppo delle tecniche di comunicazione sociale che spesso fanno vivere i nostri giovani avvolti in una pluralità di messaggi che non sono in grado di decodificare. Certamente le nuove tecnologie rendono proprio la scuola ancora più protagonista di scelte fondamentali concorrendo a realizzare quello che chiamiamo oggi più che mai “democrazia della partecipazione”, che prende sempre più il posto della “democrazia del consenso”, nata con la rivoluzione francese, che ha posto il “consenso”, ossia il voto, come fondamento e giustificazione della democrazia stessa, mentre oggi risulta la partecipazione l’elemento determinante per costruire un contesto radicato e responsabile di società democratica. La sinergia con la scuola è importante nella misura in cui si vuole costruire un senso di responsabilità condivisa, dei valori di condivisione di esperienze ma soprattutto si vuole concorrere a realizzare i radicati elementi di consapevolezza del futuro cittadino.
Dal rapporto tra persona umana,società ed economia nasce uno dei processi canonici fondanti del sistema politico, nel quale si concentra la relazionalità conflittuale tra i diritti fondamentali della persona umana e la sua dignità e le dinamiche necessarie alla competizione capitalistica del mercato, con il conseguente profitto che a sua volta vuole rivendicare la propria centralità. Oggi, sovente, lo sviluppo dell’uomo viene identificato con la completa espansione economica ed anche con un generalizzato benessere, che sarebbe la ricaduta automatica dell’incremento del volume della ricchezza e dello sviluppo mondiale, viceversa la situazione odierna ne dimostra l’esatto contrario con un riflesso non indifferente proprio sul rapporto tra famiglia e scuola. La famiglia è la principale agenzia educativa a cui è oggi assegnato il compito di educare i figli, allevarli e far loro conoscere e vivere i valori fondamentali del vivere sociale. L’assenza di un ruolo formativo della famiglia è oggi perseguito attraverso non una infrazione ma un vero e proprio reato, ”culpa in vigilando”. Mentre la scuola è una comunità educativa, non soltanto un luogo di socializzazione bensì di formazione e di incremento delle possibilità che l’uomo ha in “nuce”.
Non è peregrino parlare di riflessi politici del rapporto tra scuola e società, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo e che numerosi studiosi già definiscono “postglobalizzazione”! La contrapposizione tra liberalismo, individualismo, mercato sfrenato ed umanesimo ha avuto i suoi contraccolpi anche sulla famiglia, che resta il centro del diritto oltre che dell’azione politica; è nella dottrina sociale cristiana che troviamo il sostegno e il percorso da compiete per valorizzare ed esprimere quanto importante sia il rapporto tra scuola e famiglia nell’ambito della costruzione dell’uomo. La concezione della famiglia,la sua centralità ed il suo primato sui processi dell’economia, costituiscono i fattori che caratterizzano e qualificano l’approccio cristiano all’elaborazione delle politiche sociali ed economiche e proprio in questi ultimi tempi si è accentuato lo scontro tra il mercato e la famiglia, perché il liberismo capitalistico ha intensificato gli attacchi all’istituzione familiare tentando in tutti i modi di fiaccarne i legami interni ed assoggettarne le esigenze al profitto ed al mercato. Possiamo affermare che i principali attacchi all’istituzione familiare si sono concentrati su:
1) l’affermazione della prevalenza del sistema economico sui sistemi culturali, politici e sociali, sanitari ed educativi, in modo da fare assumere alla razionalità economica la posizione preminente da cui trarre senso anche in termini funzionali di tutte le altre dimensioni umane e collocando tutti gli elementi sociali, ed “in primis” la famiglia, in un rapporto funzionale all’economia
2) l’affermazione del primato delle leggi del mercato sulla società di cui la famiglia è il pilastro fondamentale e fondante e sullo stesso stato in un rapporto ideologico di totale e libera finalizzazione dei processi economici, volti all’esclusiva massimalizzazione del profitto, svincolata dal primato del bene comune, che diventa così un effetto secondario della stessa produzione del profitto.
3) l’affermazione del primato delle dinamiche della competizione di mercato su quelle sociali, facendo assurgere la lotta neodarwinista di mercato come fulcro delle relazioni umane e sociali, eliminando la solidarietà sociale dalle dinamiche interne del sistema stesso, perché relegata a livello assistenziale e filantropico come sostegno ai soggetti espulsi dal funzionamento del sistema e subordinandola alle disponibilità ulteriori dell’assetto economico che è possibile sottrarre alla fondamentale e centrale esigenza di competizione del mercato
In questo senso viene legittimata la prevalenza del mercato sulla persona umana, attraverso una imposizione ideologica della teoria e della pratica della mobilità assoluta del lavoratore, che devasta il vincolo stesso della famiglia. Si legittima ad esempio ad un tempo la prevalenza del capitale e delle tecnologie sul lavoro dell’uomo, ma si indebolisce la forza contrattuale dei lavoratori e il restringimento delle possibilità di accesso al lavoro da parte dei disoccupati e sottooccupati, elidendo la possibilità di sopravvivere alle famiglie di cui quei soggetti lavorativi fanno parte.
E’ l’affermazione selvaggia del primato dell’individualismo egoistico sul solidarismo sociale e politico di matrice cristiana, eliminando dalle fondamenta lo stato sociale e rendendo l’uomo drammaticamente solo rispetto ai sistemi sociali di cui fa parte, come appunto la famiglia, al chiaro scopo di assorbirlo nelle dinamiche della competizione liberista del mercato ed accentuando la soglia di povertà dei gruppi sociali, lasciandolo fluttuare alle capricciose esigenze del mercato, legittimando un “illegittima” libertà etica dell’economia. Ci si affida in tal modo ad una sorta di fede nella superiorità del modello liberista, permettendo lo smantellamento dello stato sociale, che è il cuore della presenza civica dei cattolici in politica.
Al contrario si renderebbe precaria la coesione familiare attraverso l’accentuazione del livello di povertà delle fasce sociali più svantaggiate; il matrimonio è certamente un istituzione “giuridica” e come tale può subire evoluzioni nel corso della storia del diritto, ma la famiglia è un istituzione “sociale” e pertanto non può eticamente subire l’attacco sistematico condotto da un assetto economico privo di regole e principi, perché si renderebbe il modello di famiglia estremamente labile, fondato non sull’amore ma sul mutare delle passioni, sul fascino della ricchezza e della potenza economica secondo le esigenze del mercato capitalistico. Esso dispone, come sistema, di potentissimi mezzi massmediatici, come accade anche nelle trasmissioni televisive di massimo ascolto, durante le quali vengono proposti modelli di famiglia “plurale”, lontane da quella naturale,con un ideologia fondamentalmente amorale, come “reference family”.
In tal senso l’attacco alla famiglia come “illiberale” viene condotto anche manovrando i limiti della crisi economica, anche quelle fisiologiche agli sviluppi finanziari del sistema capitalistico, annullando le conquiste dei lavoratori per rimettere al centro, come sta accadendo da anni con le cosiddette riforme di “privatizzazioni”, del sistema di mercato finanziario e le sue leggi spietate. La famiglia sta per essere definitivamente schiacciata dal sistema liberista ormai fuori controllo e da una feroce legge di economia selvaggia che ammanta i pur nobili ideali di un Europa unita con le esigenze dello “spread”, parola incomprensibile ai padri di famiglia ma sinonimo di ingiustizia e di miseria! Solo col sistema schiavista, che pur l’Italia ha contribuito a debellare quando conquistò l’Etiopia, si potevano trovare ingiustizie come quelle che colpiscono il nucleo familiare oggi! L’accumulazione del capitale e l’indicizzazione del profitto sta riducendo la persona e il suo valore ontologico a pura merce e la famiglia è trattata dai governi come sistema riproduttivo della forza lavoro, con attività regolata dalle alterne esigenze del mercato, attraverso vincoli regolati secondo le loro funzioni.
Certamente fino a qualche anno fa l’azione politica dei cattolici, che è stata quella più attenta dal dopoguerra in poi con il Magistero ai rapporti tra famiglia società e scuola, si è orientata soprattutto ad arginare la proposta marxista collettivista, quantunque in primo luogo in Italia non si sia mai dimenticato il ruolo e l’azione del giusto mezzo economico delle partecipazioni statali attraverso la politica dell’intervento dello stato in economia, che ha permesso a intere generazioni di oggi adulti di studiare e realizzare nella scuola quella fucina di coesione sociale prima inesistente. In questo senso l’economia guidata dal senso della cittadinanza ha consentito di utilizzare la scuola come elemento di crescita e di partecipazione, rendendo la famiglia una vera comunità ontologica. Oggi si parla molto di “ontologia degli enti istituzionali” come la scuola e la famiglia stessa, proprio perche da queste due fondamentali componenti sociali nasce il tessuto connettivo si cui feconda il dialogo, il confronto e la democrazia partecipativa.
Nel sistema marxista la famiglia veniva schiacciata dal primato delle idee e sacrificata alla dittatura politica come ente riproduttivo di privilegi; basterebbe vedere quello che è successo nella Cina maoista che ha annullato di fatto tutto in un assoluto “sine nomine”, in nome del quale i valori morali hanno poi lasciato il posto al profitto e alla violenza. Nondimeno i pericoli di un economia neoliberista sono in agguato e rendono la scuola sofferente e carica di compiti che le scarse risorse accordatele non le consentono di assolvere .
Famiglia e scuola sono due realtà fondamentali del vivere civile e contribuiscono a fare capire che per vivere la vera ed autentica libertà, che offre la possibilità all’uomo di vivere l’autentica felicità, occorre riconoscere l’esistenza di un Dio trascendente, creatore del mondo e dell’uomo, vincendo la tentazione di far credere ai giovani di essere detentori di una libertà infinita rispetto ai limiti della natura umana, perché l’uomo non può non orientare il suo pensiero ad un assoluto, che è certamente Dio che vuole essere scelto liberamente dall’uomo. Ma se l’uomo si nega alla Grazia allora si rifiuta a Dio e si avvolge solo nelle proprie colpe e Dio non può, né vuole impedire le conseguenze delle libere scelte dell’uomo perché Egli è la radice della vera libertà.
Ogni uomo tramite la ragione può anche governarsi da solo, ma S. Tommaso d’Aquino osserva che solo apparentemente l’uomo può sottrarsi al governo di Dio, il quale si compiace di governare l’uomo proprio accentuando la sua indipendenza, perché l’uomo più si governa e più è governato da Dio. Questa autonomia rende più difficile, soprattutto ai giovani del nostro tecnologico secolo, accorgersi della dipendenza da Dio, mentre nelle creature non ragionevoli tale dipendenza è cosa assai evidente; anche in politica la ragione svolge un ruolo fondamentale nel legittimare l’uso della libertà.
E’ la più remota ma, nel contempo, la più ardua regola della convivenza civile, l’alleanza tra governanti e governati che si deve innescare dove l’anello del potere tiene unite economia e politica, scuola e società, sostituendo il potere con l’autorità dei migliori in un percorso di incivilimento di tutta la società e dei suoi processi decisionali: solo in questo modo si potrà realizzare una visione etica del processo educativo dell’uomo e del cittadino sin dai banchi della scuola, per costruire una società dove la ragione e la libertà siano realmente il fondamento delle scelte consapevoli dei cittadini mentre, come ammoniva S. Caterina da Siena ai Signori della sua città (Lett.367): ”Spesso vengono messi a governare uomini miserevoli che non sanno governare neppure sè stesso, chiudono gli occhi al punto di far subire il torto a chi ha ragione e a dare ragione a chi ha torto!”.
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